Il Gomitolo


Fiabe e racconti

Una reggia per il Natale

Racconto scritto da don Nereo

Dio Padre disse al Figlio:
«Prenderai carne nel seno di una vergine, ma dove vuoi che ti posi per il tuo primo vagito?» Il Figlio rispose: «Farò un sopralluogo».

Il Figlio entrò nello spazio, affidando la sua eternità al tempo terrestre. Incontrò un vagabondo.
«Dove abiti?». «Non ho casa - rispose. - Mi fermo qua e là dove posso: sotto un porticato, a ridosso di una tettoia, sotto un buon albero dall'abbondante fogliame...»
«Forse verrò da te», concluse il Figlio di Dio.

Proseguendo, incontrò un bel giovanotto in livrea smagliante. Costui disse:
«Entri, entri, signore. Qui si troverà benissimo: stanze ampie con studio annesso, minibar, telefono, doccia e vasca con idromassaggio, TV e computer. Tutto alla modica cifra di 250 euro a notte».
«Non fa per me; grazie» e il Figlio proseguì.

Una mamma cercava di staccare il bimbetto dalle vetrine luccicanti.
«Andiamo a casa; si fa tardi e fa freddo. Dobbiamo accendere la stufa per scaldare le stanze e la minestra per quando torna papà stanco dal lavoro. Speriamo che ci sia ancora della legna...»
Il Figlio di Dio pensò: «Forse verrò da voi».

Più avanti passò accanto a dei graziosi villini, attorniati da praticello ben rasato, qualche statua di marmo, dondolo, altalena, lampioni carini a delineare i vialetti oltre i cancelli in ferro battuto. «No!», disse semplicemente l'esploratore divino. E proseguì.

Appena oltre il marciapiede e un cancelletto fatto con cinque tavolette malridotte, una casupola con l'uscio socchiuso. Nella cucina, presso il vecchio tavolo, una vecchia signora stava rammendando dei poveri indumenti e di tanto in tanto buttava l'occhio verso la strada, quasi s'aspettasse di veder giungere una persona cara. Poi abbassava lo sguardo sul cucito, sospirando rassegnata, cosciente che la sua attesa era solo un sogno perché il marito era in cielo e il figlio era emigrato per trovare lavoro e mantenere la famigliola che cresceva affamata.
«Qui starò veramente bene», si disse il nostro passante.

Vide anche la villa del commendatore, dove nel giardino vigilavano due grossi cani di razza. Il Figlio di Dio commentò brevemente:
«Mmmmm!» e proseguì.

To', un «vu' cumprà». Seguendolo, entrò in un androne stipato di modesti letti in ferro, con sopra a ognuno una buona coperta. Lungo un muro, una serie di lavandini con qualche pezzo di sapone. Da oltre la porta di fondo giungeva un buon profumo di caffelatte e la voce allegra di una donna che canticchiava una canzone popolare.
«Interessante questo dormitorio. Anche qui credo che mi troverò bene».

Il chiasso dell'oratorio stava scemando con lo sfollare dei ragazzi. Seguendo un po' l'uno e un po' l'altro, il nostro Figlio di Dio scoprì case piuttosto... signorili (che scartò) e altre più modeste e anche veramente povere o adorne di tanta solitudine e tristezza. E in queste si prenotò.

Arrivò anche a una casa... no! Era meglio chiamarla col suo nome: stalla. Il ragazzino che vi entrò fu accolto con un sorriso dal papà che stava riassettando lo spazio fra alcune pecore. Accanto a loro, in uno spazio transennato, due logore coperte stese sulla paglia, traccia palese di due giacigli nel tepore odoroso degli animali. E il Figlio di Dio si disse:
«Ecco un ottimo posto. Sarà la mia prima dimora!» E tornò verso il Cielo.

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