Fiabe e racconti
La caramella pasquale di Lori
Racconto scritto da don Nereo
Amichetti miei, le favole sono frutto di fantasia, ma spesso manifestano il desiderio che la realtà sia così allegra e gioiosa come esse la presentano. Inoltre, molto spesso contengono belle fette di verità. È questo il nostro caso: «La caramella di Lori» è veramente esistita e spero tanto che voi la rinnoviate, ovunque ci sia una simile situazione.
Dunque: Lorenzo (tutti lo chiamavano Lori, per brevità) viveva con papà e mamma al primo piano di una vecchia casa. Era felice e curioso come tutti i ragazzi intelligenti. Così aveva imparato a spiare un anziano signore che viveva solo, al piano terreno, osservandolo spesso attraverso un foro scoperto sul pavimento a tavole del ripostiglio. Era un suo segreto: da quel foro creato da un nodo di tavola saltato come il tappo di una bottiglia, vedeva il povero uomo nella vasta, umida e disordinata cucina, quando accendeva il fuoco, quando si cuoceva un po' di pranzo e poi lo mangiava lentamente, con poco gusto, gli sembrava. Lori l'aveva studiato molto, durante i mesi invernali.
Memo - così si chiamava il vecchio - viveva come un orso rintanato, quando non era a lavorare nel suo pezzo di terra sulla collina. La vita lo aveva dimenticato da quando, parecchi anni addietro, gli aveva rubato moglie e figlia in un tragico incidente. Da allora non salutava quasi più nessuno, chiuso nel suo dolore; ormai evitava tutti. E tutti lo evitavano: chi lo conosceva bene, per non fargli pesare la sua triste sventura; chi lo conosceva appena, perché a causa del suo silenzio e della riservatezza, lo giudicava addirittura un cattivo soggetto.
Così l'avevano dipinto i genitori a Lorenzo. Ma ora, controllandolo dal suo osservatorio, il ragazzino provava più compassione che paura per Memo.
Si era al Venerdì santo con una giornata triste in tutti i sensi.
Verso sera, Lori, senza preoccupazione per i compiti, con tutta calma
controllò Memo. Fu così che lo notò scaldare una
specie di minestra, ma quando se la pose davanti e, fatto un segno di croce,
si sedette a tavola, invece di mangiarla, si prese la testa fra le mani e
rimase a lungo così. Lori tratteneva il respiro, incollato al suo
foro di osservazione. L'unica cosa che si muoveva, in quei lunghi minuti,
era il tenue fumo che saliva dalla minestra e qualche tremolio sul liquido,
che diffuse brevi cerchi concentrici. Lori commentò tra sé:
«Quelle sono gocce... sono lacrime... se un uomo piange non
può essere cattivo!». Ci pensò la notte, fra sogni
agitati; ripensò durante tutto il Sabato santo e giunse alla sua
conclusione.
Quando Memo rincasò dalla prima Messa di Pasqua e fu sul punto di sedersi per la solita colazione, vide un qualcosa che si dondolava nell'aria, sopra la tavola: una caramella e un minuscolo bigliettino con la scritta «Buona Pasqua», appesi a un filo. Seguì il filo con l'occhio, vide il foro buio in alto, abbozzò un sorriso stupito, poi non vide più niente perché gli occhi gli si erano riempiti di lacrime silenziose di gioia.
Come finì? Ve lo dico subito. Memo si presentò, ancora con la caramella e il biglietto in mano, dai genitori di Lori, fece i suoi auguri timidi, ma cordiali, e invitò il ragazzo a tagliare la colomba pasquale nella sua vuota cucina. I genitori acconsentirono a patto che per il pranzo Memo avesse accettato di essere loro ospite. Memo non rispose perché non gli venne la voce: sorrideva e piangeva.
Lori pensava:
«Caro Memo! È finito il tuo Venerdì santo. Da oggi
potrai sentire ancora il canto della Pasqua nel tuo cuore.»
E fu proprio così!
Quest'opera è pubblicata con una Licenza Creative Commons e può essere copiata e ridistribuita per fini non commerciali e a patto di citare l'autore e la fonte.